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L’11 novembre si festeggia San Martino, patrono dei viticoltori e protettore della vite e del vino. Morì il 9 novembre ma venne sepolto l’11, per questo si celebra in tale giorno.

Un antico detto, che probabilmente vi sarà capitato di sentire, recita “a San Martino ogni mosto diventa vino”: scopriamo insieme cosa significa, quali sono le tradizioni e le leggende che vedono questa figura protagonista.

Chi era San Martino?

San Martino nacque nel 316 nell’attuale Ungheria, si spostò poi a Pavia ed infine nell’antica Gallia. Fu prima soldato, poi eremita e vescovo di Tours, fondando uno dei primi monasteri dell’Occidente. Fu sempre vicino agli ultimi ed estremamente generoso, infatti di lui si narrano antiche leggende legate alla povertà di cui parleremo nel prossimo paragrafo. Perché si dice a San Martino ogni mosto diventa vino? Leggete le leggende mentre gustate un buon bicchiere di vino delle Cantine di Dolianova!

Perché si dice a San Martino ogni mosto diventa vino: tradizioni antiche

L’11 novembre si festeggia in molte località e zone rurali ed è una data sempre stata importante nel mondo contadino: indica la fine del ciclo di raccolto nei campi; infatti, in epoca monarchica nell’Italia settentrionale, tutti i contratti stagionali nei campi agricoli iniziavano e finivano l’11 novembre, e dopo questa data i braccianti traslocavano, tant’è che in molte zone del Nord è nato il detto “fare San Martino”, con cui si intende “traslocare”.

Ma perché si dice che a San Martino ogni mosto diventa vino? Perché è diventato il giorno in cui si assapora il vino novello (da non confondere con vino nuovo). Dietro questo detto, si racconta che un ubriacone in una notte di bufera decise di far sosta in una cantina e di mettersi dietro una botte di vino per non disturbare la moglie, la quale stava per partorire. Il giorno seguente però venne trovato morto per il freddo e accanto a lui c’era una vite piena di uva diventata vino dentro una botte magicamente sempre piena. Secondo una versione il morto è San Martino.

L’estate di San Martino

Ma c’è un’altra storia che lo vede protagonista: da cavaliere dell’esercito romano, nella città francese Amiens, incontrò un mendicante mezzo nudo tremante per il freddo; allora il giovane soldato con la spada tagliò a metà il suo mantello di lana e lo offrì al povero. Dopo pochi istanti smise di piovere ed uscì un bel sole caldo come in estate, dando luogo alla cosiddetta “Estate di San Martino”, il periodo autunnale in cui dopo i primi freddi si verificano condizioni climatiche di bel tempo.

La notte Martino sognò Gesù rivestito con la metà del mantello che raccontava agli angeli del soldato che lo aveva aiutato. Al risveglio il giovane scoprì che il mantello era integro e che Dio per sdebitarsi gli regalò giornate di sole. Ancora oggi il santo viene ricordato per il taglio del mantello che è stato usato dai re Merovingi durante le incoronazioni, ma poi è andato perduto.

Nei paesi anglosassoni è conosciuta con il nome di Indian Summer. L’episodio del mantello è stato raffigurato in varie opere di pittori e scultori, tra i quali Van Dyck e Aligi Sassu.

Famosi sono anche i versi della poesia di Carducci intitolata appunto San Martino: “Ma per le vie del borgo, dal ribollir dè tini, va l’aspro odor dè i vini, l’anima a rallegrar”.

La leggenda delle oche

Infine, c’è un’altra leggenda legata al santo, quella delle oche: si dice che alcune oche starnazzando fecero scoprire il nascondiglio di Martino che non voleva diventare vescovo. In molti paesi europei e in Alto Adige la tradizione vuole che si mangi l’oca l’11 novembre.

Cosa si mangia il giorno di San Martino?

Come abbiamo detto, la bevanda tipica di questa giornata è il vino novello che si accompagna alle caldarroste, frutto tipico del periodo autunnale. Altri piatti caratteristici sono i taglieri di salumi e il maiale arrosto.

Ci sono poi la pizza e i dolci come il San Martino in pasta frolla tipico di Venezia, che raffigura il santo a cavallo ed è decorato con glassa e cioccolato, o i biscotti di San Martino della Sicilia con semi di finocchio o anice da inzuppare nel vino novello; quelli della Calabria sono sempre biscotti di pasta frolla ripieni di fichi secchi, nocciole, noci, mandorle e vino cotto.

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