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Si parla di uvaggio, in enologia, per indicare l’insieme delle uve di vitigni diversi che vengono utilizzate per produrre un determinato vino. Questo termine viene spesso usato in un’altra accezione tecnicamente scorretta; perciò, facciamo chiarezza e spieghiamo nello specifico cosa si intende per uvaggio al giorno d’oggi.

Significato del termine uvaggio in passato

Il termine uvaggio veniva usato tempo fa per indicare una tecnica che consisteva, dopo la raccolta, nel vendemmiare le uve insieme nello stesso vigneto, mescolando anche fino a 10 uve diverse, producendo così vini misti.

Nei vigneti di una volta venivano praticate colture diverse da quelle attuali. Poteva capitare che all’interno dello stesso vigneto ci fossero filari di viti diverse. Le varie tipologie di uve venivano quindi vendemmiate contemporaneamente e poi vinificate insieme, senza differenziazione.

L’uvaggio nel settore enologico attuale

Oggi invece questa tecnica non è più casuale, ma è il risultato di anni di studi della vigna che ha portato a realizzare vini sempre più particolari.

Le varie tipologie di uve non sono sparse casualmente tra i filari e sono in genere coltivate in spazi diversi e separati a seconda delle caratteristiche e del grado di maturazione. Le uve possono esprimere così al meglio tutto il loro potenziale.

Per uvaggio si usa oggi indicare le uve di vitigni diversi con la stessa epoca di maturazione che vengono vendemmiate nello stesso periodo ma non necessariamente nello stesso vigneto, pigiate, fermentate e vinificate insieme. In questo modo si ottiene un vino dalle qualità organolettiche particolari.

L’uvaggio viene effettuato sia per ottenere vini rossi sia per ottenere vini bianchi.

Ad esempio, il nostro Arenada – Cantine di Dolianova viene prodotto con uvaggi 90% Monica e 10% uve rosse autoctone, nel territorio circostante la Cantina, caratterizzato da suoli di medio impasto composti da calcari argillosi di origine miocenica, giacitura collinare media, clima sub-arido.

L’uso improprio del termine uvaggio

Spesso la parola uvaggio viene usata per indicare l’insieme degli ingredienti utilizzati per produrre un vino e la percentuale delle tipologie di uve utilizzate, indipendentemente dal periodo di raccolta e da quando vengono mescolate. Talvolta, viene usato anche quando un vino è prodotto in purezza, cioè da una sola tipologia di uva o unico vitigno. In realtà, in questi casi non si dovrebbe parlare di uvaggio perché non c’è una mescolanza di uve diverse. Per questo motivo si può generare confusione: è più corretto parlare di “vino monovarietale” se il vino è ottenuto da un unico vitigno, o “vino plurivarietale” se ottenuto da vitigni diversi. In quest’ultima categoria si può parlare di uvaggio solo quando si tratta di uve che sono state vendemmiate, pigiate e vinificate insieme.

Dove è più diffusa la pratica dell’uvaggio?

Questa tecnica è più utilizzata nelle zone mediterranee, caratterizzate da un clima temperato. Invece, la viticoltura del nord, dell’Europa Centrale e di gran parte dell’Italia Settentrionale si basa nella maggior parte sui vini ottenuti da un solo vitigno dominante. Questo perché la viticoltura in queste aree è più difficile per ragioni climatiche e ambientali e quindi sono in numero inferiore i vitigni che possono esprimersi in maniera adeguata. Ciò vale anche in zone più meridionali ma fredde come l’Irpinia, parti dell’Abruzzo, la Rioja (Spagna) e il Vulture (Basilicata). Ci sono tuttavia delle eccezioni.

I terroir mediterranei sono da sempre meglio rappresentati da uvaggi, dato che i vini che ne derivano trovano nel mescolarsi un modo per esprimere al meglio una territorialità particolare e caratteristiche organolettiche che difficilmente sono ottenibili da una singola uva. La tradizione gioca sicuramente un ruolo importante.

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